Il bambino, Il pubblicitario e le coppie che ti entrano in casa.

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Avere 12 anni non ti impedisce di possedere un sanissimo sentimento interiore, che chiameremo a giusta ragione: coraggio.

Solitamente abituati a considerare i bambini come i destinatari di un nuovo giocattolo o i principali fruitori dei piani educativi. Facciamo fatica a concepire che un essere umano di età inferiore ad una certa soglia possa compiere un atto politico.

Un forte atto politico, aggiungerei, reso ancora più potente dalla totale mancanza di meccanismi del tipo:

“ti faccio un favore se poi ti ricordi di me quando si torna in cabina elettorale”

perché privo della più dannosa delle abitudini umane: il compiere un gesto per assaporare le reazioni del pubblico pagante.

In Messico, terra martoriata da uno dei tassi più alti di censura ai danni di giornalisti e comunicatori in generale, c’è stato qualche tempo fa un risvolto assolutamente atipico del vasto mondo della contestazione.

Mentre più di 11.000 persone sfilavano a Celaya, dietro la bandiera del Frente Nacional por la Familia che non ha di meglio da fare che battersi contro l’estensione dei diritti civili alle coppie omosessuali (da poco ventilata dal presidente Pena Nieto), un bambino si è parato, braccia aperte, davanti al cammino dei manifestanti, ostacolandolo.

Braccia aperte che hanno un significato assolutamente univoco: basta così. Fermi. L’idiozia qui non passa.

A quello che è parso essere inizialmente un gesto giocoso, una “bambinata” come ormai chiamiamo gli atti di bullismo; il giovane ha dato una connotazione sociale profondissima: “Ho uno zio gay, e non voglio che sia odiato.”

L’odio, dunque, come spauracchio sociale avvertito persino da chi avrebbe ben diritto di giocare nella sua stanzetta.

L’odio, inarrestabile, che viene percepito verso categorie di persone che non avrebbero motivo di esistere.

Eppure, se da un lato assistiamo a fenomeni che sanno tanto di caccia alle streghe, dall’altro qualche  passo avanti c’è stato; pur corredato di critiche che arrivano lì dove il dente duole e vi è una maggiore possibilità di fare notizia.

Il mondo della pubblicità si è aperto alla proposta di famiglie omogenitoriali o di coppie dello stesso sesso.

A partire da Ikea nel 2011 (e ancor prima la Renault nel 2009, ma in quel caso si trattava di una presenza transgender) e passando poi per la Findus, la Tiffany, la Nikon, la Vodafone; moltissimi sono stati i marchi che hanno cercato, cavalcando o meno l’onda questo lo prenderemo in considerazione in seguito, di proporre al grande pubblico un’immagine diversa da quella della solita coppietta felice di questa o quella compera, di queste o quelle sottilette, di questo o quel pacco di pasta.

Ovviamente non sono mancate le polemiche. In questa corsa affannosa a mostrare chi sia più friendly, le cadute di stile non sono mancate; la figura del transgender, infatti, o del travestito, hanno rappresentato un problema ed hanno purtroppo risentito del solito luogo comune che le accompagna. Non già persone in quanto tali, ma fenomeni di costume con ruoli comici, utilizzati per strappare una risata volgarotta. Qualcuno potrebbe anche dire: “Cosa volete? Son solo pubblicità!” ma è anche vero che la pubblicità ha un potere enorme, televisivamente parlando. Orde di messaggi passano dai pixel dello schermo agli occhi dello spettatore, che poi incamera una serie di comportamenti, modelli, aspirazioni e leggi sociali e le riversa nella sua vita di tutti i giorni.

Dell’esistenza di una lobby gay si parla spesso, e solitamente sono i repressi a farlo, ma c’è di vero che purtroppo le persone LGBT (questa sigla si modifica di continuo ed io non ho la pazienza per star dietro ad ogni cambiamento) appartengono ad una minoranza.

In quanto appartenenti ad un gruppo numericamente minoritario (ma fino a che punto, se contiamo chi si nasconde e poi sbandiera una famiglia “tradizionale” perfetta?) sono soggetti maggiormente all’opinione pubblica, che inevitabilmente è accompagnata anche dalla pubblicità nelle sue scelte sociali e nel suo modus vivendi.

E’ osceno che la tv possa fino a questo punto, nella formazione di una coscienza civile.

Ci sarebbe poi da discutere, ma non è questo il momento per farlo, dell’idea stessa di coppia; che sia etero o gay non ha importanza, sembra che dica la pubblicità, purché ci sia.

E invece chi c’è a spezzare una lancia a favore del singolo (no, non del single, del singolo!)? Nessuno. Puoi comprare una macchina, un paio di ciabatte, un nuovo dentifricio, una dentiera, un apparecchio acustico; puoi aprire un nuovo conto corrente, puoi decidere di provare il nuovo sgrassatore universale, purché tu sia accompagnato da qualcuno.

Ecco, su questo versante le pubblicità non hanno ancora fatto alcun passo avanti. Anzi, ci propinano case da sogno abitate solo e unicamente da famiglie con più di un membro, come se i singoli di tutto il mondo vivessero in topaie brulicanti di blatte senza lavarsi, vestirsi, arredare il salotto o mettersi le lenti a contatto.

La partita, in questo settore, è aperta.

Ciò che invece dovrebbe chiudersi definitivamente è la polemica, sterile e controproducente, sui diritti altrui. Sull’esistenza di donne e uomini che non sono gay, lesbiche, trans ma sono, appunto, umani. Con i loro desideri, i loro sogni, le loro debolezze, le bollette da pagare.

Poi con chi vadano a letto è un problema loro. Magari anche della Eminflex, intendiamoci; ma principalmente il loro.

Tag principale: Pubblicità Omofobe

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